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Resti di medicinali ritrovati in confezioni di latte dei principali marchi

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Nazionale. Antinfiammatori, cortisonici e antibiotici. È quanto ha trovato un test del mensile Il Salvagente, da domani in edicola, in 21 confezioni di latte, fresco e Uht, di alcuni dei principali marchi italiani comprate in supermercati e discount. In più della metà delle confezioni sono state rilevate tracce di farmaci.

 

Le più frequenti dexamethasone (un cortisonico), neloxicam (antinfiammatorio) e amoxicillina (un antibiotico), in concentrazioni tra 0,022 mcg/kg e 1,80 mcg/kg. È stato possibile rilevarli grazie a un nuovo metodo realizzato dall’Università Federico II di Napoli e da quella di Valencia, in grado di scoprire contenuti molto piccoli. Niente allarmismi, secondo il direttore della rivista Riccardo Quintili, anche perché è tutto in regola con i limiti di legge, ma voglia di fare chiarezza. “Queste analisi – spiega – non vogliono essere una penalizzazione alle aziende nelle cui confezioni abbiamo trovato residui di farmaci. Molte si sono mostrate sensibili. L’interesse era sollevare un potenziale rischio per trovare soluzioni”. Da dove provengono questi residui di medicinali? Secondo Enrico Moriconi, veterinario e Garante degli animali della Regione Piemonte, sono “usati per curare le mastiti, cioè infezioni alle mammelle, nelle vacche da latte”. Cortisonici e antinfiammatori sono impiegati come coadiuvanti. Degli effetti di assunzione continuata di antibiotici in dosi
basse, soprattutto sui bimbi che sono grandi consumatori di latte, si è discusso oggi a Roma.”L’assunzione costante di piccole dosi di antibiotico – evidenzia Ruggiero Francavilla, pediatra, gastroenterologo dell’Università di Bari – con gli alimenti possono determinare una pressione selettiva sulla normale flora batterica intestinale a vantaggio dei batteri resistenti agli antibiotici che possono diventare più rappresentati”. I risultati confermano quelli di una ricerca su 56 latti italiani, pubblicata sul Journal of Dairy Science. “Neonati e bambini sono particolarmente esposti – conclude Alberto Ritieni, professore di Chimica degli Alimenti della Federico II- e potrebbero risultare più vulnerabili. Per questo un monitoraggio costante degli allevamenti
sarebbe necessario”.

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