Coronavirus, ristorazione in crisi. Sorbillo chiude almeno 4 locali, Pepe pensa al futuro e salvare l’occupazione

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Napoli. Negli ultimi giorni in Campania si sta parlando tantissimo della consegne a domicilio e della loro liberalizzazione, dopo la decisione del presidente Vincenzo De Luca di vietarle.

 

Sull’argomento è intervenuto anche Gino Sorbillo, che ha dato dimostrazione di come ovviare alle preoccupazioni sulla difficoltà di garantire la sicurezza dei cibi consegnati a domicilio: “La nostra pizza è cotta a 450, poi subito confezionata per preservare il calore e l’ambiente sterile, grazie a un confezionamento con pellicola alimentare che abbiamo ideato per avvolgere la scatola della pizza, creando una camera d’aria bollente di sicurezza. Non è molto più sicura di una pizza a taglio venduta da un forno, che sta per ore in vetrina, esposta a qualunque agente esterno?”. Sorbillo si dice ormai certo di dover chiudere almeno quattro dei suoi locali: la pizzeria Lievito Madre sul Lungomare di Napoli e Zia Esterina al Vomero, che sarebbe destinata a chiudere battenti anche a Milano, insieme all’insegna Olio a Crudo. Questo soprattutto per l’impossibilità di far fronte a tutte le spese che pesano su un imprenditore alle prese con più locali (e 270 dipendenti all’attivo, tra l’Italia e il resto del mondo: al momento lavora regolarmente solo la pizzeria di Tokyo): “Parliamo – riferisce Sorbillo al Gambero Rosso – di grandi metrature, locali super attrezzati, con staff di decine di persone. I costi sono altissimi, e anche la ripartenza sarà difficile. Come faccio a sostenere un’attività da 300 metri quadri con uno staff di 30 persone vendendo 60 pizze al giorno? Dovremo fare i conti con il ridimensionamento dei coperti, con la paura delle persone. Ci vorrà tempo, e nel frattempo garantire il pagamento degli affitti sarà quasi impossibile. Sto rivedendo il bilancio delle mie attività, evidenziando i punti deboli. Qualche locale girava meno bene di altri, e poi ci sono i locali che hanno spese di gestione altissime, quelli saranno i primi a dover essere sacrificati”. Per gli altri locali, compresa la storica pizzeria in via dei Tribunali, invece, Sorbillo già immagina la ripartenza: “Prolungheremo gli orari di apertura, avremo poche pizze in carta, 4 o 5 al massimo, niente proposte gourmet, pochi ingredienti buoni, per una pizza che sfama”.

Poi, torna a battere sulla necessità di riabilitare il delivery anche in Campania, anche se vincere questa battaglia non garantirebbe prospettive economiche più rosee. “A Roma e in un locale di Milano abbiamo già attivato il delivery, presto sarà disponibile anche a Genova. Ma facendo i conti, considerando il 30% di trattenuta delle piattaforme di consegna, parliamo di una convenienza nulla: a Milano, con due persone al lavoro per 30-40 pizze al giorno, il guadagno è davvero esiguo. Abbiamo bisogno di riattivarci, stare pronti alla riapertura. Con De Luca sto cercando un dialogo pacifico, lo apprezzo molto e capisco le sue intenzioni, conoscendo bene la necessità di arginare certe leggerezze dei napoletani. Però ora parliamoci, salviamo il salvabile. In Campania solo il food si è fermato veramente, se voglio ricevere qualcosa a casa mi arriva senza problemi, anche se non è un bene di prima necessità. Le nostre pizze possono arrivare a casa in tutta sicurezza, garantiscono un pasto completo, incentivano le persone a restare a casa. Perché non permetterci di lavorare?”.

 

Franco Pepe, il pizzaiolo di Caiazzo, sembra essere pronto ad affrontare l’emergenza e in una lunga intervista a repubblica.it illustra il suo progetto: «Studio il modo di ripartire. Nei tempi vuoti penso tanto al futuro, ho voglia di un futuro più umano, con un fattore umano che sia la centralità, il cliente. Dei 43 ragazzi del mio staff, tre non sono tornati nelle rispettive zone di origine. Con loro usiamo questo tempo per sperimentare e usare idee nuove per la ripartenza. Abbiamo un gruppo Whatsapp con i miei ragazzi e siamo costantemente in contatto. Certo sono tutti preoccupati, ma cerco di tenere alto il morale. In questo periodo ho pagato loro le ferie, l’ho messe in busta paga insieme con gli ultimi giorni, perché avessero un po’ di liquidità e non si trovassero in difficoltà in questi giorni strani. Se anche dovrò tagliare posti a sedere in pizzeria, farò di tutto per tenerli tutti e 43 qui: sto studiando come collocarli in altri dei progetti che sto seguendo (consulenze, locali fuori Caiazzo), magari sperando nella loro disponibilità a muoversi. Per quanto riguarda il menu continuerò ad avere un approccio di sperimentazione sul prodotto, per esempio puntando sul menu funzionale messo a punto con l’aiuto di una nutrizionista oltre un anno fa. Continuando a puntare sul concetto di accoglienza e poi cambiando qualcosa negli orari. Per esempio, come salvare tutti i dipendenti? Impegnandoli con una diversa turnazione. Prima ero chiuso una volta a settimana, il lunedì, adesso non avrò più il giorno di chiusura. Poi prima, da maggio la domenica chiudevamo per pranzo, adesso non più. Abbiamo fatto una riunione da poco, studiando nuovi orari. Perché di sicuro dimezzerò i posti a sedere, per rispettare distanze tra tavoli. Allora penso di creare tre fasce orarie e di far accomodare solo su prenotazione: l’ipotesi è 19-20,20; 20,30-21,50;22-23,20. Un’ora e venti per un pasto in pizzeria sono un buon tempo credo e 10 minuti tra un turno e l’altro per sanificare. Non potrà più essere che sai quando arrivi ma non sai quando te ne vai. Chiederò rispetto dei tempi per gli altri clienti che si devono sedere dopo. Mi aspetto grande collaborazione dai clienti perché è nell’interesse di tutti: mangiare la mia pizza, passare una bella serata e stare in un ambiente sicuro. A proposito di ambiente sicuro, oltre che a tagliare il 50 per cento dei posti a sedere, penso a piccoli separé in plexiglass. Poi mascherine per tutti (al pass e agli impasti i miei ragazzi le hanno sempre portate, ora lo faranno anche in sala), ma le farò fare allegre, con dei disegni a tema pizza. Ci deve essere anche buon umore”.

Per quanto riguarda i prezzi, Pepe ha riferito: “Tralasciando il fatto che la mia pizza a libretto la vendo a 2 euro, e una pizza a 5, da me con un antipasto, una pizza e un dolce il conto raramente può superare 15-17 euro, con tutta la selezione di materia prima e la ricerca che c’è dietro. Sinceramente non posso certo abbassare prezzi. Primo per non svendere il prodotto, secondo perché dovrei rifarmi diminuendo il personale. Non penso di cambiare più di tanto il menù, ma visto che non avrò più 400 persone sedute contemporaneamente potrei dedicare uno dei forni a una linea a sé. Potrei creare un menu apposito solo per le pizze d’asporto. Molte delle nostre pizze al momento non sono trasportabili, vanno mangiate appena sfornate, sarebbe assurdo volerle portare fuori sapendo che non arrivano in condizioni ottimali. Potrei studiare una linea di pizze con cotture diverse che reggano il viaggio”.